di Gaetano De
Monte, Corriere di Taranto, 4 Gennaio 2016
Se volete la rimozione del percolato e la messa in sicurezza dell’impianto,
l’unica soluzione è che la discarica dovrà riaprire. Sarebbe questa la linea
politica scelta da una parte delle istituzioni locali tarantine per la
risoluzione delle problematiche connesse alle discariche per rifiuti speciali
non pericolosi gestite dalla società Vergine Srl, una delle quali sequestrata
due anni fa dai carabinieri del Noe di Lecce, e tutte due in estremo abbandono.
In particolare, l‘ente Provincia di Taranto si era fatto portavoce, lo
scorso 17 dicembre, di una proposta di deliberazione (poi ritirata per le
proteste in aula dell’associazione Attiva Lizzano) che parlava in tal senso.
Nel provvedimento firmato dal dirigente del settore (ecologia e ambiente)
l’ingegner Martino DiLonardo, dopo aver ammesso che “per le discariche
Palombara e Mennole questo ente non dispone di alcuna garanzia finanziaria,
sebbene quest’ultima sia condizione necessaria per il rilascio
dell’autorizzazione all’esercizio di una discarica”; c’è un passaggio,
contenuto nel corpo della deliberazione, in cui è lo stesso ente a dare notizia
di un cambio di proprietà dell’impianto: “con nota del 01/06/2015 il signor
Paolo Ciervo, in qualità di liquidatore / titolare della Società Vergine srl
comunicava la variazione della titolarità della gestione dell’impianto (già
autorizzato con Aia di cui alla determina n.384 del 2008) a favore della
subentrante Lutum Srl di Massafra”. Un “normale” atto di compravendita
di una discarica sequestrata, si dirà. Una semplice scrittura privata, con cui
lo scorso 20 marzo la società massafrese (cosiddetta cessionario) ha acquisito
“la disponibilità dell’area su cui insiste l’impianto”. Non soltanto. “Poiché
l’autorizzazione oggetto di trasferimento è stata revocata con determina n.440
del 01/04/2015, il cessionario è disponibile a produrre in favore della
provincia di Taranto le predette garanzie finanziarie per la prosecuzione
dell’attività di discarica, così si legge nel carteggio intervenuto tra
l’azienda Lutum srl, “società controllata” dalla C.i.s.a dell’imprenditore
Antonio Albanese – come risulta dai dati resi disponibili dalla Camera di
Commercio di Taranto – e il dirigente del settore ecologia della Provincia
Martino DiLonardo”.
In sostanza, dalle “carte” traspare che da ambedue le parti si conviene di
annullare il provvedimento con cui è stata disposta nello scorso aprile la revoca
dell’Aia, autorizzazione ora oggetto di volturazione, cioè di passaggio di
titolarità dell’impresa. Se ne ha conferma, di tale volontà, leggendo
all’ultima pagina della proposta di deliberazione, laddove si dichiara
espressamente che “la revoca della determinazione n.440 del 2015 è
finalizzata all’accoglimento dell’istanza di volturazione della gestione delle
discariche a favore della società Lutum srl, subordinatamente al rispetto, da
parte della società subentrante, degli obblighi e prescrizioni di cui alle
vigenti normative in materia ambientale, nonché di quelli contenuti
nell’originaria autorizzazione”. L’ente locale ha motivato il
provvedimento in questione con la necessità di “non poter far fronte
all’attuale stato di abbandono in cui le stesse discariche versano e alle
connesse ripercussioni che già vivono le popolazioni circostanti”.
Dunque, a quasi due anni di distanza da quel 10 febbraio 2014, quando i
carabinieri del Noe di Lecce guidati dal maggiore Nicola Candido sequestrarono
l’intero impianto di contrada Palombara, dando esecuzione, così, al decreto
richiesto da pm Lanfranco Marazia ed emesso dal gip del Tribunale di Taranto,
Valeria Ingenito perché “il grido di allarme da parte di un’intera
comunità cittadina, divenuto sempre più pressante, rendono di per sé necessario
ed urgente un intervento che impedisca il protrarsi degli effetti di un
illecito che appare ben lontano da ritenersi superato, o anche solo attenuato
per effetto delle dotazioni infrastrutturali recentemente installate”, la
Provincia di Taranto, pochi giorni fa, dichiarando prioritaria e di interesse
pubblico la soluzione del problema ambientale connesso alle discariche su
citate, adducendo la sussistenza di sopravvenuti motivi di pubblico interesse,
ha provato a far riaprire l’impianto, revocando il provvedimento di ritiro
dell’autorizzazione integrata ambientale alla Vergine Srl, già predisposto
dallo stesso settore, lo scorso primo aprile. Ma la storia non finisce qui.
Già, perché ad esempio il dirigente firmatario della proposta, l’ingegner
Dilonardo, è finito soltanto qualche mese fa nella bufera mediatica sempre per
questioni di monnezza. E ora potrebbe finirci nuovamente, nel ciclone,
perlomeno quello mediatico. In virtù del fatto che il figlio dell’ingegner
Dilonardo – come anticipato a suo tempo dal Nuovo Quotidiano di Puglia –
risulta essere socio in una società immobiliare con l’imprenditore Antonio
Albanese, alla cui holding la stessa Lutum srl appartiene. Amministratore unico
della Lutum è Nicola Lacalaprice, già dirigente della Cogeam, un consorzio di
imprese di cui la stessa Cisa fa parte – insieme a Lombardi Ecologia e al
gruppo Marcegaglia – per gestire la discarica di Conversano. Sia chiaro:
soltanto motivi di opportunità politica potrebbero consigliare il dirigente ad
astenersi ogni qualvolta sia in ballo un provvedimento che riguardi le società
di Antonio Albanese. O meglio, forse il presidente della Provincia di Taranto e
Sindaco di Massafra, Martino Tamburrano, non avrebbe dovuto nominarlo
responsabile del settore ecologia. Ma c’è di più: la Lutum Srl sembra essere
una scatola vuota (come la Vergine Srl, del resto) non ha dipendenti e risulta
inattiva dal 2012. Risalgono a quell’anno gli ultimi bilanci disponibili,
tendenzialmente in perdita. Una società che ha un capitale sociale di appena
quindicimila euro, come potrebbe presentare le garanzie finanziarie a favore
della Provincia per la prosecuzione delle attività delle discariche “Palombara”
e “Mennole”, per le procedure di chiusura, post – chiusura, “nonchè di ogni
prescrizione rilevabile dall’autorizzazione”; questo resta un mistero. È
chiaro, invece, il giro d’affari che la riapertura de La Vergine in contrada
Palombara muoverebbe. Secondo quanto dichiarato dal consigliere comunale di
Lizzano (il comune più esposto ai miasmi e ai veleni delle discariche) Valerio
Morelli, una torta che si aggirerebbe intorno ai centocinquantamilioni di euro.
Perché l’impianto sarebbe ancora in grado di ospitare oltre un milione e
cinquecentomila metri cubi di rifiuti. A conti fatti – prendendo in esame i
dati dei rifiuti speciali non pericolosi smaltiti presso la discarica sita in
contrada Palombara, nel solo 2012 – ultimo anno integrale di esercizio, se ne
può avere un’idea. Centosessantadue milioni di tonnellate annue è il ritmo di
conferimento, stando ai numeri riportati all’interno del modello unico
dichiarazione ambientale – Mud – reso disponibile dalla Camera di Commercio.
Per dare un’idea: ventitremila tonnellate soltanto di ceneri pesanti, scorie da
acciaieria e polveri. Moltiplicate per circa cento euro a tonnellata, cioè il
costo dei rifiuto, e avrete il prezzo, di quello che appare un massacro
“necessario”. Perché intanto – come racconta l’esito di un sopralluogo
nell’area da parte dei Carabinieri del Noe – in data 08/04/2015 “è
stato rilevato all’interno del bacino della discarica una massiccia presenza di
liquido verosimilmente riconducibile a percolato, in una misura pari a circa
5000 tonnellate”. Non solo. L’ultimo sopralluogo presso la discarica
Palombara veniva effettuato, previa autorizzazione della Procura di Repubblica,
l’11 novembre del 2015, e vedeva la partecipazione del Presidente della
Provincia, del dirigente e dei funzionari del Settore Ecologia, di due
rappresentanti della Polizia Provinciale, del Noe di Lecce, del rappresentante
del Comune di Taranto (non è dato sapere chi fosse) del Sindaco del Comune di
Lizzano, insieme al Vice – Sindaco dello stesso Comune e a due consiglieri di
minoranza (non si sa a quale titolo) e del Sindaco del Comune di Fragagnano.
Forse è stato durante “questa ricognizione dei luoghi” che è maturata, in una
parte delle istituzioni locali, l’idea di far riaprire la discarica. Perché di
questo si tratta. L’Arpa Puglia, invece, a quel sopralluogo non ha partecipato.
Comunicando di aver svolto svariati interventi presso l’impianto, rilevando a
partire dal febbraio 2013 (cioè un anno prima del sequestro) situazioni di
criticità nella gestione della discarica “che ha già informato di tanto le
Amministrazioni interessate, essendo già accertata la situazione di non idonea
gestione del sito da parte della Vergine srl e quella di abbandono in cui il
sito versa attualmente”. È indifferibile – conclude l’Arpa –
l’adozione dei provvedimenti previsti dalla vigente normativa per la tutela della
salute della popolazione. E proprio dello stato di salute dei cittadini che
vivono a ridosso delle discariche in questione, “il partito dei rifiuti” che
governa il territorio provinciale, ne è a conoscenza?
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