di Gaetano De Monte, Siderlandia.it
“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza”, affermava John Pulitzer, e portare alla luce del giorno questi segreti, descriverli, rendendoli ridicoli agli occhi di tutti è quello che si propone di fare chi cerca la verità. La storia che stiamo per raccontarvi vuole indagare le vicende di un lembo di terra ionica, precisamente dell’Isola Amministrativa chiamata “Taranto B”, distante 18 km dal capoluogo: un’area compresa tra i comuni di Lizzano, Faggiano, Roccaforzata, Fragagnano, Monteparano.
Questa zona, che abbraccia campagne dagli uliveti secolari, rigogliosi vigneti curati dalla sapienza dei maestri contadini, scenario inconfondibile delle grandi dimore storiche e delle antiche masserie, per quasi 40 anni è stata utilizzata come discarica incontrollata da parte di tutta la Provincia (ma anche da altre province, soprattutto del settentrione), senza che vi siano mai stati controlli né quindi alcuna bonifica. Chissà cosa scriverebbe Vitruvio, che circa 2000 anni fa elogiava la bellezza e il dolce frutto degli ulivi pugliesi, unici al mondo, e i doni della terra. Questa stessa terra è diventata merce di scambio nel “do ut des” con una presunta modernità: prima c’è stata l’ingombrante presenza di cave di estrazione di tufi; successivamente gli stessi gestori delle cave, con la complicità di amministratori e politici compiacenti, hanno destinato quel territorio al conferimento di rifiuti. Per noi, oltre al danno, anche la beffa; per qualcuno, come Giuseppe Vergine, proprietario dell’omonima discarica e titolare ormai di un “marchio” nella gestione dei rifiuti – pubblicizzato da un po’ tutti i media “ufficiali” locali – occasione perfetta per lucrosi guadagni. Sulle spalle e sulla pelle dell’intera provincia di Taranto, ovviamente, e sulla salute dei cittadini di Lizzano, in particolare: i quali, per via della vicinanza dal centro abitato, circa 2 km, sono i più esposti ai veleni della Vergine. Ormai già da alcuni anni gli abitanti accusano gli effetti di questa situazione: cefalee, nausea, vomito, dissenteria, irritazione alla bocca e alla gola, bruciore allo stomaco, irritabilità e depressione. Ma non solo: negli ottocento esposti che contengono testimonianze e dati scientifici, presentati alle autorità competenti dall’associazione AttivaLizzano – che da anni vigila sulle problematiche del territorio sul diritto alla salute dei residenti –, si fa riferimento a tantissimi casi di asma, a numerosissimi casi di tumori (leucemie, linfomi, carcinomi alla mammella, sarcomi ossei, carcinomi ai polmoni, al fegato), a problemi alla tiroide (ipotiroidismo, congenito ed acquisito, ipertiroidismo e carcinomi).
I dati e le considerazioni prodotte dall’ARPA in particolare, evidenziano inequivocabilmente “la presenza di esalazioni di acido solfidrico provenienti dalla discarica Vergine s.p.a. in quantità tali da arrecare danni alla salute dei cittadini”. Gli studi scientifici permettono qui di asserire il nesso di causa-effetto tra le concentrazioni di acido solfidrico presenti nell’aria e i sintomi lamentati dalla popolazione lizzanese. Le conclusioni diffuse dall’Organizzazione Mondiale Della Sanità evidenziano che, dati livelli di acido solfidrico identici a quelli rilevati nel territorio di Lizzano (0,038 ppm e 0,013 ppm), è possibile riscontrare effetti come: bruciore agli occhi e al naso, tosse, mal di testa, odore sgradevole, difetti neuropsicologici. Tutti disturbi lamentati e denunciati dalla popolazione lizzanese negli esposti già menzionati.
La discarica per rifiuti speciali ex 2B “Mennole” della società Vergine riceve rifiuti molto pericolosi: tra gli altri, conce di pellame contenenti cromo, fanghi di depurazione; i materiali provengono da tutta Italia e la volumetria del sito è di 1.080.000 m³. La sua storia inizia nel 2003 con un iter autorizzativo singolare e controverso. Nel 2008 è entrata in esercizio; subito dopo si dà l’avvio alla seconda discarica Vergine per rifiuti speciali, la “Palombara”: un sito con una volumetria di 2.288.000 m³, vicinissimo al centro abitato (1.500 metri). L’apertura di questa nuova discarica di dimensioni enormi – quasi 3 volte superiore a quella precedente – è stata fatta passare per “un ampliamento”. Anche qui, nel rilascio della Valutazione di impatto ambientale, l’iter è stato grottesco. Non è stato infatti preso in considerazione l’effetto cumulativo di 40 anni di sversamenti, ciò malgrado fosse già evidente una carenza negli strati di impermeabilizzazione, oggi palesata dalla relazione tecnica di un’equipe di ingegneri (secondo la quale mancherebbe 1 metro di strato di impermeabilizzazione). Dal 1982, infatti, tutte le discariche devono sottostare al DPR 915/82 che obbliga all’impermeabilizzazione dell’impianto per evitare che vengano contaminate le falde acquifere ed il terreno. Tuttavia, proprio la presenza in quella zona di discariche incontrollate, precedenti all’emanazione della norma, fa temere l’eventualità di una contaminazione. Intanto la proprietà ha addirittura chiesto nei mesi scorsi alla Regione Puglia di poter aumentare per tre volte la quantità e la pericolosità dei rifiuti da ricevere. Un’attività che determina un giro d’affari milionario. Eppure la discarica Vergine ha reso più povera Lizzano: privando gli abitanti del piacere di una serata all’aperto, del profumo della mattina, del diritto alla salute, e della stessa dignità dell’esistenza. La discarica Vergine sta trasformando Lizzano e i comuni vicini in una sua appendice imponendo un odore terribile, insopportabile, nauseabondo.
Questa zona, che abbraccia campagne dagli uliveti secolari, rigogliosi vigneti curati dalla sapienza dei maestri contadini, scenario inconfondibile delle grandi dimore storiche e delle antiche masserie, per quasi 40 anni è stata utilizzata come discarica incontrollata da parte di tutta la Provincia (ma anche da altre province, soprattutto del settentrione), senza che vi siano mai stati controlli né quindi alcuna bonifica. Chissà cosa scriverebbe Vitruvio, che circa 2000 anni fa elogiava la bellezza e il dolce frutto degli ulivi pugliesi, unici al mondo, e i doni della terra. Questa stessa terra è diventata merce di scambio nel “do ut des” con una presunta modernità: prima c’è stata l’ingombrante presenza di cave di estrazione di tufi; successivamente gli stessi gestori delle cave, con la complicità di amministratori e politici compiacenti, hanno destinato quel territorio al conferimento di rifiuti. Per noi, oltre al danno, anche la beffa; per qualcuno, come Giuseppe Vergine, proprietario dell’omonima discarica e titolare ormai di un “marchio” nella gestione dei rifiuti – pubblicizzato da un po’ tutti i media “ufficiali” locali – occasione perfetta per lucrosi guadagni. Sulle spalle e sulla pelle dell’intera provincia di Taranto, ovviamente, e sulla salute dei cittadini di Lizzano, in particolare: i quali, per via della vicinanza dal centro abitato, circa 2 km, sono i più esposti ai veleni della Vergine. Ormai già da alcuni anni gli abitanti accusano gli effetti di questa situazione: cefalee, nausea, vomito, dissenteria, irritazione alla bocca e alla gola, bruciore allo stomaco, irritabilità e depressione. Ma non solo: negli ottocento esposti che contengono testimonianze e dati scientifici, presentati alle autorità competenti dall’associazione AttivaLizzano – che da anni vigila sulle problematiche del territorio sul diritto alla salute dei residenti –, si fa riferimento a tantissimi casi di asma, a numerosissimi casi di tumori (leucemie, linfomi, carcinomi alla mammella, sarcomi ossei, carcinomi ai polmoni, al fegato), a problemi alla tiroide (ipotiroidismo, congenito ed acquisito, ipertiroidismo e carcinomi).
I dati e le considerazioni prodotte dall’ARPA in particolare, evidenziano inequivocabilmente “la presenza di esalazioni di acido solfidrico provenienti dalla discarica Vergine s.p.a. in quantità tali da arrecare danni alla salute dei cittadini”. Gli studi scientifici permettono qui di asserire il nesso di causa-effetto tra le concentrazioni di acido solfidrico presenti nell’aria e i sintomi lamentati dalla popolazione lizzanese. Le conclusioni diffuse dall’Organizzazione Mondiale Della Sanità evidenziano che, dati livelli di acido solfidrico identici a quelli rilevati nel territorio di Lizzano (0,038 ppm e 0,013 ppm), è possibile riscontrare effetti come: bruciore agli occhi e al naso, tosse, mal di testa, odore sgradevole, difetti neuropsicologici. Tutti disturbi lamentati e denunciati dalla popolazione lizzanese negli esposti già menzionati.
La discarica per rifiuti speciali ex 2B “Mennole” della società Vergine riceve rifiuti molto pericolosi: tra gli altri, conce di pellame contenenti cromo, fanghi di depurazione; i materiali provengono da tutta Italia e la volumetria del sito è di 1.080.000 m³. La sua storia inizia nel 2003 con un iter autorizzativo singolare e controverso. Nel 2008 è entrata in esercizio; subito dopo si dà l’avvio alla seconda discarica Vergine per rifiuti speciali, la “Palombara”: un sito con una volumetria di 2.288.000 m³, vicinissimo al centro abitato (1.500 metri). L’apertura di questa nuova discarica di dimensioni enormi – quasi 3 volte superiore a quella precedente – è stata fatta passare per “un ampliamento”. Anche qui, nel rilascio della Valutazione di impatto ambientale, l’iter è stato grottesco. Non è stato infatti preso in considerazione l’effetto cumulativo di 40 anni di sversamenti, ciò malgrado fosse già evidente una carenza negli strati di impermeabilizzazione, oggi palesata dalla relazione tecnica di un’equipe di ingegneri (secondo la quale mancherebbe 1 metro di strato di impermeabilizzazione). Dal 1982, infatti, tutte le discariche devono sottostare al DPR 915/82 che obbliga all’impermeabilizzazione dell’impianto per evitare che vengano contaminate le falde acquifere ed il terreno. Tuttavia, proprio la presenza in quella zona di discariche incontrollate, precedenti all’emanazione della norma, fa temere l’eventualità di una contaminazione. Intanto la proprietà ha addirittura chiesto nei mesi scorsi alla Regione Puglia di poter aumentare per tre volte la quantità e la pericolosità dei rifiuti da ricevere. Un’attività che determina un giro d’affari milionario. Eppure la discarica Vergine ha reso più povera Lizzano: privando gli abitanti del piacere di una serata all’aperto, del profumo della mattina, del diritto alla salute, e della stessa dignità dell’esistenza. La discarica Vergine sta trasformando Lizzano e i comuni vicini in una sua appendice imponendo un odore terribile, insopportabile, nauseabondo.
Gli abitanti di Leonia, una delle “Città invisibili” di Italo Calvino, direbbero, se interrogati, che la loro passione è «il godere delle cose nuove diverse». In effetti, ogni mattina la popolazione di Leonia «indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio». Ogni mattina, però, «i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio», e i netturbini sono «accolti come angeli», perché a mano a mano che i leoniani si distinguono nella loro ricerca delle novità, «una fortezza di rimasugli indistruttibili» circonda la città, «la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagna”.
Gli abitanti di Lizzano e l’associazione AttivaLizzano invece combattono una battaglia per essere tutelati nel diritto ad un ambiente salubre e nel diritto alla salute (art. 32 della Costituzione Italiana). Ed hanno più volte chiesto agli amministratori e agli Enti Locali che prima di continuare a rilasciare deroghe e di permettere alla discarica di proseguire le sue attività, vengano considerati i problemi riguardanti l’ambiente e le patologie ad esso connesse; di accertare, tramite adeguate mappe epidemiologiche e registro tumori, gli eventuali danni conseguenti l’inquinamento. Ma gli enti competenti, a causa della latitanza delle istituzioni, non hanno quasi mai effettuato indagini e controlli diversi da quelli finora presentati – e che invece il principio di massima precauzione richiede. Più volte è stata ribadita da diverse parti la necessità di specifici carotaggi nelle vasche attive e in quelle dismesse, in modo da valutare correttamente lo stato delle impermeabilizzazioni e la composizione di tutto ciò che è stato ed è attualmente conferito per accertare, eventualmente, anche la presenza di rifiuti radioattivi nascosti nelle vaste vasche delle ormai esaurite discariche precedenti.
E’ comunque impensabile un ulteriore aumento della quantità dei rifiuti che la discarica Vergine riceve ogni giorno. Anche perché gravi ombre pesano sulla stessa gestione: i dirigenti della società sono stati infatti chiamati in causa in 3 processi per traffico illecito di rifiuti: “El Dorado” del 2003, “Ragnatela” del Giugno 2010 e “Spiderman” del Febbraio 2010 – quest’ultimo procedimento ha portato all’arresto di Antonio Anglano, tarantino, residente a San Giorgio Ionico. In pratica succedeva che tonnellate di rifiuti speciali pericolosi venivano conferiti dalle aziende della Val di Sangro alla Di Florio Srl, impianto di stoccaggio e selezione di Cerratina, frazione del comune di Lanciano. Da lì i rifiuti venivano trattati in modo fittizio e inviati nelle discariche di Cerratina, a due passi dal predetto impianto, e nella discarica Vergine di Taranto, con documentazione falsa. E questo stratagemma sarebbe ormai usato e collaudato dall’azienda poiché consente di far risparmiare notevoli somme sulla tassa regionale. E’ ovvio come ci sia poco da fidarsi…
Della società Vergine ad un certo punto non si è fidata neanche più la Regione Puglia; nei mesi scorsi infatti, a seguito di accertamenti effettuati presso il sito da parte dell’Arpa, Dipartimento Taranto, e dalla Polizia Provinciale, sono state riscontrate “inosservanze di prescrizioni normative ed autorizzative”. In particolare, è stata ipotizzata una cattiva gestione dei rifiuti, a causa della mancata copertura giornaliera degli stessi – che avrebbe provocato la dispersione di odori – e della creazione di un dreno non autorizzato per raccogliere acqua piovana dal fondo – operazione che potrebbe determinare la rottura del telo impermeabilizzante che ricopre la parte inferiore della vasca. La Regione, in qualità di Autorità Competente, ha di conseguenza ammonito la Società Vergine al ripristino delle regolari condizioni di esercizio della discarica in località Palombara, sospendendo per dieci giorni l’Autorizzazione Integrata Ambientale, in attesa che la proprietà ottemperasse ai suoi ordini. “Una misura cautelare”, si era affrettato a specificare Lorenzo Nicastro, assessore regionale all’ecologia, “per tutelare l’ambiente e la salute”. Un provvedimento che è svanito come una bolla di sapone: dopo soli cinque giorni la Regione ha fatto dietrofront e successivamente anche una sentenza del Tar ha autorizzato la riapertura dell’impianto specificando “che i rifiuti abbancati risultano essere stati coperti e così pure i rifiuti interessati dalla costruzione del dreno; inoltre che i lavori relativi alla costruzione del dreno sono avvenuti a distanza di sicurezza dall’argine impermeabilizzato, cioè a circa undici metri dallo stesso”; “che, trattandosi di lavori sostanzialmente inerenti all’ordinaria gestione della discarica e non importanti particolari rischi, la realizzazione del dreno non abbisognava di una specifica autorizzazione da parte degli Enti preposti al settore”. Nel dispositivo, si legge inoltre, “che quando nell’abitato di Lizzano si riscontrava la diffusa e permanente presenza di odore molesto era stata altresì accertata la sostanziale difficoltà dell’accertamento del legame delle attività svolte in discarica e le immissioni odorifiche e l’impossibilità, inoltre, di considerare provato il nesso causale sussistente tra le emissioni e lo stoccaggio dei rifiuti in discarica”. Della serie, “lavamose le mani e mors tua, vita mea”, insomma.
E’ comunque impensabile un ulteriore aumento della quantità dei rifiuti che la discarica Vergine riceve ogni giorno. Anche perché gravi ombre pesano sulla stessa gestione: i dirigenti della società sono stati infatti chiamati in causa in 3 processi per traffico illecito di rifiuti: “El Dorado” del 2003, “Ragnatela” del Giugno 2010 e “Spiderman” del Febbraio 2010 – quest’ultimo procedimento ha portato all’arresto di Antonio Anglano, tarantino, residente a San Giorgio Ionico. In pratica succedeva che tonnellate di rifiuti speciali pericolosi venivano conferiti dalle aziende della Val di Sangro alla Di Florio Srl, impianto di stoccaggio e selezione di Cerratina, frazione del comune di Lanciano. Da lì i rifiuti venivano trattati in modo fittizio e inviati nelle discariche di Cerratina, a due passi dal predetto impianto, e nella discarica Vergine di Taranto, con documentazione falsa. E questo stratagemma sarebbe ormai usato e collaudato dall’azienda poiché consente di far risparmiare notevoli somme sulla tassa regionale. E’ ovvio come ci sia poco da fidarsi…
Della società Vergine ad un certo punto non si è fidata neanche più la Regione Puglia; nei mesi scorsi infatti, a seguito di accertamenti effettuati presso il sito da parte dell’Arpa, Dipartimento Taranto, e dalla Polizia Provinciale, sono state riscontrate “inosservanze di prescrizioni normative ed autorizzative”. In particolare, è stata ipotizzata una cattiva gestione dei rifiuti, a causa della mancata copertura giornaliera degli stessi – che avrebbe provocato la dispersione di odori – e della creazione di un dreno non autorizzato per raccogliere acqua piovana dal fondo – operazione che potrebbe determinare la rottura del telo impermeabilizzante che ricopre la parte inferiore della vasca. La Regione, in qualità di Autorità Competente, ha di conseguenza ammonito la Società Vergine al ripristino delle regolari condizioni di esercizio della discarica in località Palombara, sospendendo per dieci giorni l’Autorizzazione Integrata Ambientale, in attesa che la proprietà ottemperasse ai suoi ordini. “Una misura cautelare”, si era affrettato a specificare Lorenzo Nicastro, assessore regionale all’ecologia, “per tutelare l’ambiente e la salute”. Un provvedimento che è svanito come una bolla di sapone: dopo soli cinque giorni la Regione ha fatto dietrofront e successivamente anche una sentenza del Tar ha autorizzato la riapertura dell’impianto specificando “che i rifiuti abbancati risultano essere stati coperti e così pure i rifiuti interessati dalla costruzione del dreno; inoltre che i lavori relativi alla costruzione del dreno sono avvenuti a distanza di sicurezza dall’argine impermeabilizzato, cioè a circa undici metri dallo stesso”; “che, trattandosi di lavori sostanzialmente inerenti all’ordinaria gestione della discarica e non importanti particolari rischi, la realizzazione del dreno non abbisognava di una specifica autorizzazione da parte degli Enti preposti al settore”. Nel dispositivo, si legge inoltre, “che quando nell’abitato di Lizzano si riscontrava la diffusa e permanente presenza di odore molesto era stata altresì accertata la sostanziale difficoltà dell’accertamento del legame delle attività svolte in discarica e le immissioni odorifiche e l’impossibilità, inoltre, di considerare provato il nesso causale sussistente tra le emissioni e lo stoccaggio dei rifiuti in discarica”. Della serie, “lavamose le mani e mors tua, vita mea”, insomma.
Mentre scrivo guardo un documentario: “Waste Land”, una testimonianza meravigliosa di come l’arte possa riscattare anche una situazione disperata. Nella “terra degli scarti” non ci sono solo i rifiuti, ma gli stessi “catadores”, gli abitanti della discarica Jardim Gramacho, il sito di raccolta di spazzatura più grande del mondo, che si trova vicino Rio de Janeiro, in Brasile. I “catadores” sono persone che passano le loro giornate in mezzo a questi rifiuti, differenziando i materiali ammucchiati in questa enorme distesa di immondizia. Basta guardare le facce di questi catadores per capire che la loro vita non sarà più la stessa. E la nostra?
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